Vittorio Messori

 

(da Qualche ragione per credere. Mondadori)


...Visto che - lo vogliamo o no - il male esiste, visto che nessuno vi è sfuggito o vi sfuggirà, nulla può consolarci, se non lo scoprire una possibile risposta alla domanda brutale che pone.

Non dimentichiamo che, qui, la risposta non è un complesso dialettico di belle parole: è una Persona, un Incontro, un Evento a cui guardare. Questa prospettiva ha fra i suoi capisaldi la certezza che Dio è amore; che Dio è un "babbino"; che Dio stesso ha voluto condividere la nostra sorte (facendo così, dunque, ciò che nel Suo piano è il meglio per noi, anche se il "perchè" sembra spesso sfuggirci).
Ebbene, credo che solo all'interno di una simile prospettiva si possano fare a noi stessi ed agli altri, senza ipocrisia e senza provocare rivolte, discorsi altrimenti intollerabili. Discorsi veri, peraltro, come la stessa esperienza dimostra: il male fisico che può rivelarsi occasione per il bene morale, mostrandoci i veri valori della vita, facendoci scoprire virtù insospettate, agendo come drastico fattore di conversione, di purificazione, di maturazione, di umiltà, di solidarietà, di disincanto rispetto a illusioni umane come quelle della politica, che vorrebbe creare un mondo perfetto e senza dolore a colpi di decreti legge e di riforme.
Ma poi: anche la sofferenza degli altri, per chi ancora "sta bene", non è stata forse causa di tesori di abnegazione, di compassione, di solidarietà, di coraggio? Bella, per spiegare questo, l'intuizione di Léon Bloy: "Ci sono spazi nei nostri cuori che ancora non esistono, e nei quali irrompe la sofferenza perchè essi siano".
Chi, come tutti, ha recalcitrato davanti alla croce, ha finito spesso per scoprire che proprio lì stava la grazia, per lui. Ha scoperto perchè un cristiano come Manzoni abbia potuto definire "provvida" la "sventura". Come c'è una felix culpa (che è quella stessa che ha portato il male nel mondo, con la caduta dell'Eden, provocando però la risposta di valore infinito che è la redenzione), può esserci una felix crux. Soprattutto se quella "croce" ci aiuta a capire che la specie peggiore di male è il male morale, che alla base di questo c'è il peccato di tutti, a cominciare dal nostro; e che dunque, l'impegno per un mondo migliore, prima che "fuori", sulle strutture sociali, deve rivolgersi "dentro", al fondo di quello che la Bibbia chiama "cuore". (...)

 

............................................

 

...Mi viene in mente la tradizione francescana che - nella freschezza che nasce dalla verità evangelica nuda, senza orpelli intellettualistici - riassunse questa speranza in una sorta di ritornello che abbiamo già citato - ricordi? - parlando del paradiso: "Tanto è il bene che mi aspetto / che ogni pena mi è di diletto".
Non c'è, nel credente nel Dio di Cristo, il piacere morboso del masochista; ma la gioia di chi ha scoperto che il problema della vita non è cercare - inutilmente, del resto - di sfuggire il male, ma è trovarvi quel significato che solo il dono della fede può dare. Dono che è poi, in sostanza, il capire che il nostro destino nel mondo non è il mondo; che il tempo che ci è dato - con tutte le sofferenza che lo contrassegnano - è solo un breve viaggio verso quella "nuova Terra" che ricordavi, dove sono sconosciute le lacrime. Ma dove quelle versate nel prologo quaggiù alla Vita vera troveranno il loro significato, mostreranno finalmente di essere state preziose proprio perchè amare. Tutto ciò che abbiamo detto finora sul "male" va letto, naturalmente, in quella prospettiva di eterno senza la quale non c'è cristianesimo e che invece, oggi, sembra oscurata.
Se la "Provvidenza" sembra spesso non avere "buon cuore" con noi, la spiegazione ultima non sta in una sorta di sadismo divino: sta nel non dimenticare mai che la vita terrena non è che un tempo di prova, che il dolore del mondo rientra in un "piano" dove il mondo è destinato a passare.

 

(da Qualche ragione per credere. Mondadori)

 

home